domenica 8 giugno 2008

I Segreti dell'Abbazia di Moggio Udinese e il Priorato di Sion


di Luigi Grimaldi


Uno dei fenomeni letterari che negli ultimi anni hanno scatenato maggiore curiosità, interesse e polemiche è senza dubbio quello rappresentato dal libro di Dan Brown “Il Codice da Vivnci”. Un romanzo che ha venduto in tutto il mondo milioni di copie, un successo che va ben al di là dei meriti letterari, piuttosto limitati, dell’opera. Il lavoro di Brown in realtà ha destato tanta curiosità perchè ha divulgato due o tre fatti, attinenti la storia sacra e le origini del Cristianesimo, a torto ritenuti segreti, ed è stato aiutato in questo da una organizzazione editoriale, per promozione e diffusione, senza precedenti.
Certamente anche l’aver potuto disporre, sopratutto nel titolo, della potenza suggestiva suggerita dalla figura di un mito come Leonardo da Vinci, ha aiutato questa colossale diffusione.
Uno dei temi principalmente “chiaccherati” del lavoro di Brown è la divulgazione dell’esistenza e del ruolo di una speciale organizzazione “segreta” di origini medioevali chiamata “Priorato di Sion”, tuttora in attività, di cui esisterebbe una traccia anche in Friuli.

I SEGRETI DEL PRIORATO

Sull’esistenza di questa organizzazione esiste da tempo una diffusa letteratura, che risale in Francia al 1967 e in Europa dal 1981.

Il 22 gennaio 1981 è apparso sulla stampa un trafiletto che rappresenta la prima iniziativa visibile del Priorato:

« Una vera e propria società segreta formata da 121 dignitari, il Priorato di Sion, fondato a Gerusalemme da Goffredo di Buglione nel 1099, ha enume­rato tra i suoi grandi maestri Leonardo da Vinci, Victor Hugo e Jean Cocteau. Questo ordine si é riunito in convento a Blois il 17 gennaio 1981. Nel corso del recente convegno di Blois, Pierre Plantard de Saint Clair é stato eletto Gran Maestro dell’ordine con 83 voti su 92, al terzo scrutinio.
Questa scelta del gran maestro segna un passo decisivo nell’evoluzione della concezione e dello spirito dell’Ordine nei confronti del mondo; infatti i 121 digni­tari del Priorato di Sion sono tutti eminenze grige dell’alta finanza e di varie orga­nizzazioni politiche e filosofiche internazionali;
Pierre Plantard discende direttamente, tramite Dagoberto II, dai re Merovingi. La sua discendenza é stata provata legalmente dalle pergamene della Regina Bianca di Castiglia scoperte dall’Abate sauniere nella sua chiesa di Rennes le Chateau (Aude) nel 1891.»

La letteratura pseudo scientifica o romanzesca, secondo i due filoni principalmente diffusi sul tema, tende ad accreditare il ruolo e la funzione del Priorato come quello di una sorta di massoneria cui è affidato il compito di proteggere attraverso i secoli gli eredi una presunta schiatta dei discendeti di Gesù Cristo e di Maria Maddalena viventi “segretemaente sulla terra”. Una vicenda a cui vengono sistematicamente legati molti altri “misteri” della mitologia massonica di origine anglosassone tra cui spiccano una antistoria dei Cavalieri Templari e il Santo Graal.
Va detto che secondo i divulgatori di queste teorie gli “eredi di Cristo” nel corso dei secoli si sarebbero imparentati, trasmettendo la linea di sangue, con tutte le principali famiglie reali europpee, a partire dalla schiatta dei re Merovingi la cui stirpe è detta dei “Re lungichiomati” poiché le proprietà magiche del loro sangue sarebbero state simboleggiate dalle lun­ghe chiome.

Da questi apparentamenti le famiglie reali avrebbero tratto una legittimazione “sacra” della propria regalità, e quindi dell’esercizio del potere, nel quadro di un progetto di riprisino del Sacro Romano Impero retto da una sorta di Re sacerdote. A questa categoria reale apparterrebbero sia le casate degli Asburgo Lorena che i reali inglesi della famiglia Sinclaire.
Autore di un romanzo, che tratta negli stessi termini l’argomento, è lo scrittore friulano Carlo Sgorlon. Si tratta de “Il Processo di Tolosa”, un’opera che risale a diversi anni prima del lavoro di Brown, ma che non ha avuto lo stesso successo, pur vantando non poche ambizioni, come una candidatura al Nobel per la letteratura.

TRACCE DEL PRIORATO IN FRIULI
Secondo tutti i lavori di ricerca sviluppatisi negli ultimi, anni sulle tracce del Priorato di Sion, molti basati su documenti falsi o su forzature storiche, il principale simbolo di questa organizzazione sarebbe una data, il 17 Gennaio. Nessuno dice quale significato abbia questa data anche se alcuni studiosi sostengono che faccia riferimento ad un preciso periodo dell’anno in cui sarebbe possibile, grazie a strani influssi planetari, la trasmutazione alchemica legata alla pietra filosofale.
Va detto, perchè la vicenda risulti comprensibile, che l’elenco dei presunti Gran Maestri dell’Ordine Di Sion comprende diversi personaggi importanti come Leonardo da Vinci, Isacco Newton, Victor Hugo, Claude Debussy, Jan Cocteau. Secondo questo mito il Priorato di Sion starebbe alla radice della fondazione dell’ordine dei Templari.
Va detto anche che la storia di questo giallo storico-letterario va chiaramente divisa in tre parti: una annidata in epoca medioevale, la seconda arroccata tra la fine dell’800 e i primi del 900, l’ultima all’inizio degli anni 80.
Durante i lavori di ristrutturazione dell’Abbazzia di Moggio Udinese, dopo il disastroso terremoto del 1976, alla metà degli anni ’80, venne recuperata una statua lignea di un Cristo, di fattura medioevale. All’interno di questa scultura, tuttora esistente, venne ritrovato un contenitore con una pergamena e quattro piccole reliquie provenienti dalla terra Santa. La pergamena, una semplice accompagnatoria delle reliquie, precisava che queste erano state posizionate nella statua grazie Ludovico Conte di Porcia, indicato come governatore dell'Abbazia, il 17 Gennaio 1466. Fin qui non ci sarebbe nulla di strano o di curioso, se non la soddisfazione del recupero di oggetti di devozione risalenti a un’epoca tanto lontana. Il fatto è che nel 1466 Ludovico Conte di Porcia era morto da un pezzo, fatto che rende assai interessante la data del documento, il 17 Gennaio, che tradizionalmente sarebbe il simbolo con cui vengono marchiate le azioni del Priorato di Sion.
Secondo alcuni studiosi la famiglia dei Prata-Porcia, è una delle poche, se non la sola casata italiana, che possa vantare diritti ereditari sui beni appartenuti a commende Templari sottratte all’ordine 1307 quando Re Filippo Il Bello sciolse la compagnia dei Cavalieri del Tempio di Gerusalemme.

Nella pergamena poi vi sono quattro lettere esageratamente più grandi delle altre senza motivo apparente. Si tratta di lettere che hanno una determinata posizione nell’alfabeto latino, una H, una S, una C e una M, posizione che riportata in una particolare interpretazione nell’alfabeto segreto dei Templari corrisponde alle lettere HTM, ovvero Hierosolimae Templi Militia, ovvero milizia del tempio di Gerusalemme, i templari. Una interpretazione suggestiva ma che impedisce di dare un senso alla quarta lettera, la M. Utilizzando però la più accreditata interpretazione dell’alfabeto segreto dei templari scoperta da due studiosi francesi, Charles Maillard de Chambure e J.- H Probst-Biraben, le quattro lettere compongono una parola latina di senso compiuto: “fuit”. Parola che significa “è morto”. Una bella segnalazione dato che effettivamente risulta che il più famoso Lodovico Conte di Porcia, possibile firmatario della pergamena del 17 gennaio, nel 1466 era effettivamente defunto da un pezzo.
Nel 1466 a Gemona, a pochi chilometri da Moggio Udinese risulta però effettivamente esistente un Lodovico Conte di Porcia che è però una autorità civile e che, per questo non poteva essere a quella data “Governatore dell’Abbazia” come indicato nella pergamena.
La questione, come si capirà non è di poco conto. Secondo alcuni storici della letteratura un Ludovico Conte di Porcia sarebbe l’autore di un misterioso manoscritto datato ai primi anni del 1300 molto letto in epoca medioevale. Una traduzione in francese intitolata i “Fatti di Cesare”: una versione in volgare dell’opera dello storico latino Lucano nota come “Farsalia” in cui le gesta dei cavalieri e degli eroi romani appaiono una sorta anticipazione del mito dei cavalieri del Graal e in cui, da un lato, trova ampio spazio il racconto di riti magici di resurrezione accanto alla narrazione dettagliata delle antiche e sanguinarie cerimonie religiose celtiche e, dall’altro, si trova il racconto di una morte eroica per molti versi simile, e questo è un dato interessante come si capirà tra poco, al racconto leggendario del martirio di San Sebastiano. Si tratta di un manoscritto di cui intorno al 1800 erano conservate almeno due copie. La Prima nella biblioteca marciana di Venezia e la seconda nella biblioteca nazionale di Parigi. Si tratta di testi in cui non è difficile trovare appigli per sostenere che possa essere esista una doppia lettura dell'opera di Ludovico Conte di Porcia con contenuti che, se espressi chiaramente, avrebbero potuto portare ad una accusa di eresia. Insomma vi sono elementi per sospettare l’esistenza di un triangolo che lega la pergamena di Moggio ad una sorta di esoterismo sotto traccia, alla Francia medioevale, in cui il templarismo era assai più diffuso che in Friuli, per arrivare alla catena di misteri legati al Priorato di Sion.

Il fatto è che nel 1466 l’Ordine del Tempio era stato sciolto, con violenza ed una serie di processi, da ben 159 anni. Nel territorio dell’abbazia di Moggio poi, secondo alcuni storici le cui teorie non sono universalmente condivise, vi erano due insediamenti templari, uno a Gemona e uno a Chiusaforte, dipendenti però dall’unico insedimento templare riconosciuto di San Quirino, in provincia di Pordenone, che ricadeva nei possedimenti controllati dalla casata dei Prata-Porcia. Potrebbe trattarsi quindi effettivamente di una traccia, una sorta di sigillo, segretamente nascosto in epoca medioevale per marcare una presenza clandestina all’interno di una istituzione cristiana di una organizzazione combattuta e distrutta spietatamente dalle autorità per motivi teologici ed economici e per sottolineare una antica “fraternità” tra il Prioratodi Sion e i Templari sopravvissuti allo smembramento dell’ordine.

STORIE D’ALTRI TEMPI
Non esiste però alcuna prova che la pergamena sia autentica o non sia stata alterata in epoca successiva a quella che la datazione sembrerebbe indicare proprio con lo scopo di accreditare un simile legame. Il sospetto nasce da un’altra vicenda, che riguarda sempre l’Abbazia di Moggio, avvenuta in epoca assai posteriore.
Si tratta del furto della famosa “Pisside di Moggio”, un vasetto eburneo di fattura definita dagli studiosi paleocristiana, scomparso nel 1915. Al posto dell’originale i ladri avrebbero poi lasciato una pefetta copia in gesso marchiata con una misteriosa sigla MCCXII ( 1212 in cifre romane).
La pisside sarebbe poi ricomparsa nel 1944 a Washington negli Usa all’interno della Dunbarton Oaks Museum da cui il governo italiano non è mai riuscito ad ottenre la restituzione.
Si tratta di un’opera scultorea che contiene rappresentazioni per la verità sconosciute nell’arte paleocristina. Ad esempio, e qui sta il punto, vi viene rappresentato un presunto San Daniele nella fossa dei leoni. Solo che della fossa nella scultura non c’è traccia. Vi si vedono invece due colonne, rappresentazione simbolica del Tempio, mentre il presunto San Daniele indossa il berretto Frigio, simbolo di Hiram, Gran Maestro e architetto del tempio di Gerusalemme, considerato il padre di tutte le massonerie.
Ciò non significa che l’esegesi dell’opera effettuata dagli storici cristiani non sia attendibile. Significa invece che altri avrebbero potuto volervi vedere una rappresentazione molto antica del Tempio, simbolo della Massoneria, di re Salomone, costruttore del tempio di Gerusalemme.
Le autorità sospettarono che a sottrarre il prezioso oggetto fosse stato l’a­bate ti­tolare di Moggio, Mons. Pacifico Belfio, e solo dopo anni di indagini il sacerdote ri­sultò essere del tutto estraneo alla sottrazione che non si è mai saputo da chi fosse stata organizzata ed effettuata.
Il fatto è che la pisside di Moggio sarebbe scomparsa proprio nei giorni del ritorno in Friuli, nel 1915, dall’esilio parigino, di Gabrile D’annunzio, assistito nel quadro delle sue attività irredentistiche, dalla massoneria triestina, operante clandestinamente in territorio austriaco, e dalla Massoneria friulana assai più legata al Rito Massonico Scozzese Antico e Accettato e al martinismo.
Secondo lo studioso francese Gerarde de Sède il parroco di Rennes le Chateau, quello che avrebbe ritrovato le genealogie di Pierre Plantard de Saint Claire asseritamente gran maestro del Priorato di Sion nel 1981, avrebbe frequentato assidua­mente Joséphin Péladan, a partire dal 1891, anno in cui aveva trovaro nella sua chiesa le pergamene del Re Merovingio Dagoberto II e del Priorato di Sion.
Péladan da parte sua era un critico e saggista di vaglia che aveva frequentato Debussy e D’Annunzio, coautori dell’opera “Il Martirio di San Sebastiano”, e fondato con Papus l’ordine Kabbalistico della Rosa+Croce proponendosi “d’instaurer un occultisme catholique”.
Secondo De Sede tanto Peladan quanto Debussy sarebbero stati gli occulti manovratori del Parroco di Renne le Chateau attraverso un misterioso personaggio, Georges Monti, alias Marcus Vella, il segretario di Péladan, uno spregiudicato avventuriero agente doppio e triplo dei servizi segreti inglesi, fran­cesi e tedeschi. Come porta questa storia a D’Annunzio?
E’ presto detto. Il Gran Maestro della Massoneria Domizio Torrigiani il 31 ottobre 1919 scriveva ai confratelli di Trieste:
«Mio caro Treves quando parlerai con D’Annunzio rammentati che devi fargli presente che cosa la Massoneria ha fatto nella mia famiglia triestina così come nel potere centrale. Anche lo intratterrai sulla piccola cospirazione di quei poveri secessionisti i quali cer­carono d’attrarlo con le loro arti tenaci di squilibrati e di monomaniaci. Non avrei mai potuto immaginare, un giorno, che il commesso di commercio in cere da scarpe Frosini, autodidatta penetrato in grandi studi spiritualistici per una forma di demenza razionante, avesse a congiungere con un simbolo per noi sacro nientemeno che Gabriele D’Annunzio a Cavallini, a Brunicardi, a Bolo, a Caillaux» .
La lettera contiene una indicazione preziosa. Bolo e Cavallini infatti sono due editori, uno faracese, Bolo, l’altro italiano, condannati a morte nei rispettivi paesi al termine dell prima guerra mondiale, ma in epoca successiva alla lettera di Torrigiani, per essere stati tramite di una operazione di “intelligenza col nemico” orchestrata dai servizi segreti tedeschi, tramite la massoneria. Una operazione di finanziamento ocuulto delle campagne di stampa interventiste, per pingere cioè l’Italia e la Francia a dichiarare guerra alla Germania nel primo conflitto mondiale. Una operazione prodotta dallo stesso ambiente di cui Monti, il segretario di Peladan, era protagonista, così come D’Annunzio era uno dei campioni dell’irredentismo ed inteventismo italiano.

A CACCIA DI SIMBOLI

Il fatto è che attorno all’Abbazia di Moggio, suo malgrado e malgrado la devozione sincera che circonda quei luoghi, si concentrano tutta una serie di simboli massonici. Nel ciclo delle leggende Arturiane sulla “cerca” del Graal, ambientate nell’ Alba, nome gaelico della mistica Scozia del ciclo del sacro calice, il “castello del Graal” si trova sempre nei pressi di un lago.
A Moggio, in epoca medioevale esistevano un antico castello ed un lago temporaneo dovuto ad una frana, oggi non più esistente, formato dal fiume che dava il nome anche al lago: Alba.
Anche il nome dell’Abbazia, dedicata alla celebrazione di San Gallo, sembra rappresentare coerentemente la stessa simbologia. Il Gallo in massoneria è infatti il simbolo dell’ermetismo, è rappresentato nel gabinetto di riflessione, in cui sosta l’iniziando, ed è un simbolo solare in quanto annunciatore del sole. Di più il Gallo è proprio colui che annuncia l’alba. Gallo poi, in francese si dice “coc”, ma viene anche indicato come “chante clair”, ovvero “canta chiara”, l’Alba appunto, che per definizione è anche chiara. Clair proprio come il il Gran Maesto del Priorato di Sion del 1981, Pierre Plantard de Saint Clair o i reali inglesi Sinclaire, che si scrive diversamente ma si legge nello stesso modo.
In occasione dei 900 anni di vita dell’Abbazia di Moggio, il 5 dicembre 1992, ben prima che nell’Abbazia venisse insediato il convento di clausura delle Sorelle Povere di Santa Chiara, l’am­ministrazione comunale, la pieve di S.Gallo, unitamente alla Deputazione di Storia Patria per il Friuli, al Governo Cantonale e la Diocesi di S.Gallo in Svizzera, organizza­rono con il comitato Italo - Svizzero Pro Friuli un convegno di studi sulle origini dell’Abbazia di San Gallo a Moggio. Tra le iniziative celebrative dell’evento interessa qui ricordare una medaglia, coniata per l’occasione, e una poesia scritta appositamente, entrambe dal titolo “ Un uomo avanza”. Autore delle opere è il poeta e medagliasta Gianni Passalenti, compreso nell’elenco dei 99 fratelli della Loggia delle camere tecnico profes­sionali della Massoneria Scozzese di Piazza del Gesù di Udine. Nella medaglia celebrativa, forse non casualmente, viene rappresentato un uomo, che avanza nelle valli di Moggio, come una enorme chioma, una massa di capelli senza volto e senza nome: solo capelli lunghi, così come venivano rappresentati i Merovingi, i presunti discendenti di Cristo protetti dal Priorato di Sion e da cui vanterebbe una discendenza proprio Pierre Plantard de Sint Claire. Allo stesso modo nella poesia il primo verso recita “Sembran cespugli al vento quei capelli, ianua gentis di un respiro profondo, nascosto in ogni cuore, svelato a chi è capace di sognare”: il senso appare assolutamente analogo con l’interresante riferimento alla “ianua gentis”, la genia di Giano, riferita a Moggio Udinese. Il fatto è interessante perchè è noto che gli esegeti massonici preferiscono vedere nel nome Giovanni una criptogra­fia dell’antico Giano, divinità nella quale i Romani adoravano il sole, o della parola Janua che indicava il medesimo concetto riferito a Januarius, il mese di Gennaio.
Ianua gentis dunque sono i massoni il cui attributo era quello di “Januarius”, di Janus o Giano, la divinità bifronte tanto ben rappresentata nell’Apocalisse di San Giovanni al capitolo 17: 17 gennaio, appunto. Ma qui ci fermiamo lasciando al lettore la curiosità, leggendo l’apocalisse, di aprire un’altra porta e scoprire perchè. La “cerca” è appena cominciata.

4 commenti:

Ninin ha detto...

Una storia del furto della pisside di Moggio si può trovare nel libro "Moggio e le sue valli" dove si cerca di ricostruire la storia del furto e la difesa di mons. Pacifico Belfio, abate da prima della I guerra mondiale alla fine della II.

Cavalieri Templari di Monte-Carlo ha detto...

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extragarum ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
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